L’Assegno Unico dei figli è destinato interamente alle loro esigenze: la legge spiega quando si configura reato spenderlo per i bisogni personali.
Questo è un punto dolente per molte famiglie, ma non perché le entrate non siano destinate anche ai figli, bensì perché – come spesso accade – non si fa distinzione tra quale risorsa si spende per loro e quale per sé stessi. Perché sì, può capitare che si paghi il parrucchiere con l’Assegno Unico, ma questo non significa che la madre non soddisfi economicamente le esigenze del figlio.
Eppure c’è un’altra faccia della medaglia: quella in cui un genitore, pur percependo l’assegno, lo utilizza interamente per i propri scopi personali, sottraendo risorse al figlio destinatario. Ed è qui che la Cassazione ha voluto fare chiarezza, mettendo i puntini sulle i e richiamandosi all’art. 646 del codice penale, secondo il quale è punito chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
Vista la delicatezza del tema, è bene chiarire chi rischia davvero di commettere reato e chi invece può ritenersi al sicuro da qualsiasi tipo di controllo fiscale o legale.
Tutto nasce dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 24140 del 2023, che ha affrontato un caso concreto: un padre separato che riceveva l’Assegno Unico ma lo usava solo per sé. La Corte ha stabilito che, in simili situazioni, si configura appropriazione indebita, perché quei soldi non appartengono al genitore che li riceve, ma ai figli a cui sono destinati.
In parole semplici: se l’assegno serve per far crescere i figli e viene usato per tutt’altro, si commette reato. Ma se è speso nell’interesse della famiglia – anche senza conti separati – non c’è violazione, purché i figli non restino privi dei mezzi di sostentamento.
Facciamo un esempio. Se una madre riceve l’Assegno Unico e lo integra alle altre entrate familiari, pagandoci spesa o affitto, è tutto legittimo – anche se in esso esce una scappata dal parrucchiere. Il problema nasce quando il denaro viene distolto dal suo scopo, come nel caso di chi lo usa per spese personali o di lusso, trascurando i bisogni dei minori.
Vale anche per un padre che lo percepisce senza avere l’affido del figlio: in quel caso si parla di uso improprio e il rischio di denuncia è concreto. Con l’affido condiviso, invece, servono prove documentate – estratti conto o testimonianze – che dimostrino un uso personale dell’assegno.
La Cassazione è dunque chiara: non conta chi riceve l’assegno, ma come lo usa. E chi lo spende per sé, privando i figli del sostegno che spetta loro, rischia una vera condanna penale che prevede la reclusione da due a cinque anni e multa da 1.000 a 3.000€.
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