Ogni anno la scuola chiede un contributo alle famiglie per le spese non sostenute dallo Stato. Tutto ciò è legittimo?
Siamo obbligati ogni anno a versare una quota per sostenere le spese di gestione delle aule non considerate dai sostegni ministeriali? Leggerete delle sorprese perché non tutti ci raccontano la verità.

Ogni anno, al momento dell’iscrizione dei propri figli, le famiglie ricevono dalle scuole una richiesta di un versamento economico. Non si tratta di una tassa scolastica che per legge non può più essere imposta per l’iscrizione o la frequenza. Si tratta invece di una quota aggiuntiva definita “contributo volontario”, la cui determinazione spetta al Consiglio di Istituto che decide l’importo da suggerire alle famiglie, ma stabilisce anche le modalità di suddivisione delle risorse, indirizzandole verso obiettivi specifici previsti nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) o per l’aggiornamento delle dotazioni tecnologiche.
Spesso il contributo serve anche a pagare con le proprie tasche la carta igienica che useranno allievi e studenti. Il contributo è una somma addizionale, richiesta annualmente, che serve a finanziare attività e spese che esulano dall’ordinaria amministrazione statale. Serve principalmente a sostenere le attività aggiuntive previste nel PTOF, arricchendo l’offerta formativa, acquisire e mantenere l’aggiornamento e le dotazioni tecnologiche (come PC, LIM, videoproiettori e reti Wi-Fi), coprire spese di piccole manutenzioni e materiali di consumo condivisi.
Quota volontaria per l’anno scolastico: davvero è solo volontaria?
La risposta sarebbe sì se non fosse che in alcune scuole talvolta succeda che chi non ha versato il contributo possa vedersi mancare persino la carta igienica.

L’istruzione in Italia è gratuita e obbligatoria fino al termine del primo ciclo, questo versamento non è in alcun modo una tassa per la frequenza scolastica Ne consegue che il versamento del contributo è totalmente facoltativo. La sua natura è liberale e non regolata da alcun vincolo di legge per l’ammissione o la frequenza degli studenti. Le scuole non possono imporlo né usarne la mancata corresponsione come pretesto per discriminare gli alunni. Si tratta di una libera scelta lasciata alle famiglie.
La legittimità di tale richiesta è sancita dal DPR 275/1999, che ha abrogato i precedenti divieti, consentendo alle scuole, nell’ambito della loro autonomia, di raccogliere fondi aggiuntivi. Tuttavia, esistono limiti chiari su cosa può e cosa non può coprire questo fondo: si possono coprire attività extracurricolari, uscite didattiche e viaggi d’istruzione, acquisto di materiali condivisi e assicurazioni individuali per gli studenti.
Non si possono invece coprire spese amministrative ordinarie o qualsiasi attività curricolare obbligatoria, il cui costo deve essere interamente a carico dello Stato. Per garantire un uso responsabile e tracciabile delle risorse, le istituzioni scolastiche sono soggette a rigidi obblighi di trasparenza. Devono informare preventivamente le famiglie sulle specifiche finalità dei fondi richiesti. Inoltre, sono tenute a fornire una rendicontazione chiara e dettagliata a fine anno. Le scuole devono anche ricordare ai genitori la possibilità di usufruire della detrazione fiscale sui contributi erogati, un diritto previsto dalla legge (art. 13, legge 40/2007).