Per anni trascurata se non ignorata, questa malattia oggi colpisce milioni di persone in tutto il mondo e pare essere maggiormente diffusa tra le donne: di cosa si tratta e come fare a contrastarla.
Siamo abituati a pensare alla malattia come ad un virus, un batterio o una degenerazione cellulare che vanno contrastati con azioni immediate e violente, ad aggredire quei corpi estranei o anomali per farli scomparire e ristabilire l’equilibrio del nostro organismo. Negli ultimi 20-30 anni la medicina ha fatto passi da gigante soprattutto nella prevenzione e nella ricerca di sintomi iniziali in grado di consentirci di agire prima che sia troppo tardi.

Ma come si fa ad agire su una malattia che non ha sintomi precisi e quelli che ha possono essere scambiati per semplice malumore, tristezza, una giornata storta. Solo di recente si sta cominciando a comprendere che le problematiche mentali – non quelle neuro-degenerative che fanno parte della categoria tradizionale del concetto di malattia – possono evolvere in vere e proprie malattie.
Lo studio e la ricerca ha permesso di identificarne di nuove, ma anche di cogliere i segnali per etichettarle e creare un protocollo d’azione. Adesso è chiaro a tutti come la depressione sia una vera e propria malattia, di come l’esaurimento nervoso possa essere debilitante esattamente come un problema fisico – se non di più in alcuni casi – e questo permette anche di ottenere maggiori tutele, maggiore attenzione e fondi per la ricerca.
Il male di questi ultimi anni è l’ansia, spesso sospinta da quella sensazione costante di dover dimostrare di essere qualcuno, di essere bravo in qualcosa, di saper scegliere la strada giusta, di poter essere utile alla società, al gruppo di amici, alla famiglia. Il tutto viene complicato da una situazione sociale e lavorativa che sfiorano il drammatico, in cui non c’è prospettiva di ottenimento di un lavoro stabile, in cui bisogna lottare quotidianamente per essere all’altezza, in cui persino la pensione diventa un miraggio o peggio il trattamento di fine vita.
Perché la depressione colpisce soprattutto le donne
In un simile contesto è normale provare frustrazione, è sempre più frequente essere colti da attacchi di ansia e può diventare quasi logico cadere nella depressione: gli insuccessi costanti, la mancanza di prospettiva futura, la sensazione – veicolata spesso dai social media- di non essere mai all’altezza, la mancanza di stimoli e di percorsi di valorizzazione sono elementi che portano ad accumulare frustrazione ed ansia che sfociano nel migliore dei casi in attacchi di panico.

Tuttavia un periodo prolungato di attacchi di panico può divenire debilitante, tramutare la semplice tristezza momentanea in stato umorale costante, allontanare per paura dalla socialità e dalla voglia di avere un ruolo attivo, alimentare la voglia di chiudersi in se stessi e farci diventare di conseguenza depressi.
Ma lo sviluppo della depressione è legato semplicemente a traumi emotivi? Si tratta di una condizione mentale indipendente dal corpo? A queste domande ha provato a rispondere un recente studio condotto dal QIMR Berghofer Medical Research Institute in Australia il cui scopo era quello di trovare una spiegazione al perché sono soprattutto le donne ad essere depresse.
I dati raccolti permettono di ipotizzare che uno dei motivi possa essere la genetica: “Sapevamo già che le donne hanno il doppio delle probabilità di soffrire di depressione nel corso della vita rispetto agli uomini. E sapevamo anche che la depressione si manifesta in modi diversi da persona a persona. Ma finora non c’erano ricerche coerenti che spiegassero perché colpisca uomini e donne in maniera tanto diversa, e quale sia il ruolo effettivo della genetica in tutto questo”.
Si è scoperto che c’è una motivazione biologica, poiché il corpo della donna è sottoposto a scompensi ormonali in grado di intensificare le sensazioni e le emozioni sin dall’adolescenza, ma anche perché il loro corpo è sottoposto a bombe ormonali anche durante le gravidanze e post partum.
C’è poi anche una motivazione di percezione, di manifestazione di questa depressione. Le donne tendono a chiudere le proprie emozioni dentro e sviluppano comportamenti più simili a quelli ritenuti tipici della malattia: apatia, isolamento, autocolpevolizzazione, disinteresse per le attività e per il prossimo, fino allo spegnimento. Gli uomini invece reagiscono esteriormente, manifestando irritabilità e persino ira e violenza.





